#07Maggio2020 “FARE IL BENE SENZA SENTIRSI SUPERIORI AL BENE STESSO” (Giovedì 4a di Pasqua) – Riflessione scritta e video
Ecco la video riflessione di oggi
Fare il bene sentendosi superiore al bene che facciamo è una dinamica che coinvolge i cristiani ma non solo, tutti gli uomini, è una dinamica del nostro essere umano.
Spesso partiamo col donare Cristo ed il suo Vangelo, o dal punto di vista laico doniamo del bene, avviamo progetti belli, opere belle, in famiglia, al lavoro, tra amici, ma ad un certo punto per invidia, per orgoglio, per voglia di guadagnarci qualcosa, per auto-affermazione personale, ci sentiamo più importanti del bene stesso che portiamo. Quando questo bene non è solo un progetto, ma è il Vangelo, questo diventa grave, diventiamo più importanti del Vangelo stesso.
E’ questo che ha bloccato Giuda, non capire che quel bene era superiore al suo compromesso di pochi denari. Svendiamo la nostra possibilità di bellezza, la nostra dignità, per pochi denari.
La prima lettura ci dimostra questa esperienza, Paolo ricorda come quel popolo di Israele chiamato a vivere il bellissimo progetto di Amore dell’Alleanza spesso ha dimenticato ciò mettendo davanti bisogni e fragilità umane, ma Dio nei secoli ha sempre cercato di conquistare ancora con amore il popolo.
Per noi, anche se siamo caduti nella tentazione di metterci sopra il bene stesso, Gesù ci tende la mano perchè per noi ci sia sempre un’altra occasione.
Ecco qui i testi delle letture di oggi:
Gv 13,16-20
[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro: «In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
At 13,13-25
Salpàti da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge, in Panfìlia. Ma Giovanni si separò da loro e ritornò a Gerusalemme. Essi invece, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagòga nel giorno di sabato, sedettero. Dopo la lettura della Legge e dei Profeti, i capi della sinagòga mandarono a dire loro: «Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate!». Si alzò Paolo e, fatto cenno con la mano, disse: «Uomini d’Israele e voi timorati di Dio, ascoltate. Il Dio di questo popolo d’Israele scelse i nostri padri e rialzò il popolo durante il suo esilio in terra d’Egitto, e con braccio potente li condusse via di là. Quindi sopportò la loro condotta per circa quarant’anni nel deserto, distrusse sette nazioni nella terra di Canaan e concesse loro in eredità quella terra per circa quattrocentocinquanta anni. Dopo questo diede loro dei giudici, fino al profeta Samuèle. Poi essi chiesero un re e Dio diede loro Sàul, figlio di Chis, della tribù di Beniamino, per quarant’anni. E, dopo averlo rimosso, suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele. Diceva Giovanni sul finire della sua missione: Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali».