#27Dicembre2020 RILEGGERE LE RELAZIONI ALLA LUCE DEL NATALE (Festa della Santa Famiglia)

A cura di Massimiliano Arena

Oggi festa della Santa Famiglia, non una festa per porre la famiglia di Gesù Giuseppe e Maria come modello, poichè la parola stessa presuppone una visione morale, come se volessimo vivere una Domenica per dire cosa e giusto e cosa non è giusto fare per essere una bella famiglia.

Non esiste famiglia ideale, non esiste famiglia “mulino bianco”, non lo è la famiglia di Nazareth di cerco una famiglia ideale vivendo al suo interno una serie di stranezze e irregolarità.

Oggi è la festa delle concretezze della famiglia, delle bellezze, delle tristezze, dei problemi della famiglia.

Questo Natale anomalo in un anomalo anno ci ha sbattuto davanti le bellezze, le tristezze le problematiche della famiglia.

Le bellezze per chi ha potuto riscoprire la bellezza di stare in famiglia durante i vari lockdown o ha potuto contare sulla famiglia nel Natale.

Le tristezze per chi non ha potuto avere una famiglia e ha vissuto il tutto in solitudine.

Le problematiche per chi pur avendo delle persone con cui condividere ha visto amplificati problemi vari della convivenza, di relazioni da sistemare da tempo.

In tutto questo la Parola ci è luce. Un testo stupendo di Luca ci presenta una situazione e dei personaggi che ci aiutano a rileggere il tutto.

La situazione è quella della purificazione al tempio di Maria, un atto legalistico dovuto, per una donna partoriente, ma già abbiamo vari riferimenti nel Talmud che presentano questo atto come non solo legalistico e morale, ma come un atto di consacrazione della donna ad essere nuovo tempio di Dio per la famiglia, la donna come luogo della tenerezza nella famiglia. Una missione su cui riflettere per tutte le donne.

I personaggi poi.

Abbiamo Simeone, un uomo che attende ma con una attesa non morta, un attesa fatta di preghiera e di giustizia e la giustizia nella Bibbia è sempre un operosità attiva, concreta, di cose verso la salvezza, cose anche che costano fatica. Egli attende la consolazione di Israele e davanti a Lui c’è il Consolatore in persona, le sue fatiche sono ripagate. Egli ci apre a chiederci “noi cosa attendiamo? Come operiamo per l’attesa delle salvezza di Dio nelle nostre relazioni, nelle nostre famiglie?”. Restiamo inermi, mettiamo le cose come polvere sotto il tappeto, oppure siamo “giusti”, chiamiamo i problemi per nome, li guardiamo nella loro verità, fatichiamo per ricostruire giusta armonia e bellezza?

C’è Anna, straniera, orfana e vedova. Anche lei attende ed è segno dell’attesa profonda di Dio che parla con amore e consolazione a tutti, stranieri, orfani, vedove, emarginati, soli.

Ci sono Giuseppe e Maria, coloro che hanno deciso di aprirsi all’imprevedibilità, a sapersi fidare di Dio. Le nostre relazioni, le nostre famiglie potranno ritrovare armonia, restaurare pezzi rotti, solo se si aprono alla novità di Dio che produce novità di cose, segni, parole, gesti. Occorre essere sempre nuovi, rivoluzionari nell’Amore.

Nella prima lettura di Genesi Abramo e Sara oltre ad aprirsi in Dio alla fecondità che ribalta la loro sterilità diventano generatori di una “nazione” di un “popolo”. L’amore è sempre fecondo, mai egoista. La famiglia deve aprirsi all’Amore sociale, ad educare alla socialità. La famiglia non può chiudersi nelle mura domestiche ed educare a valori di egoismo, compromessi, povertà, ma a amore, condivisione, comunione.

Nella Seconda lettura viene confermato ciò nella Lettera agli Ebrei, sottolineando l’importanza della fede come strumento necessario per saper percorrere strade nuove, il coraggio di vie non conosciute.

Qui il testo del Vangelo

Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Qui i testi delle due letture

PRIMA LETTURA – Gen 15,1-6; 21,1-13

In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».
Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso.
Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato.
Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.

SECONDA LETTURA – Eb 11,8.11-12.17-19

Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

Qui il video di approfondimento di commento a questa Domenica

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